TORINO ESOTERISMO E MISTERO

TORINO ESOTERISMO E MISTERO

(servizio pubblicato su Oltre n.32)

Nodi e ley lines

Dove comincia la curiosità per il Graal

Grande Madre e Gran Madre

Nodi e ley lines

Esoterismo richiama l’attenzione su ciò che è interno e indica una dottrina, o un complesso di dottrine, di carattere segreto, intrinseco, essenziale, i cui insegnamenti sono riservati a una cerchia di persone.
Ecco perché io penso che la città di Torino abbia buone ragioni per essere definita una città esoterica. È noto lo stanziamento nella città di confermati gruppi esoterici.
Non sono per niente certa, invece, che vi siano altrettante buone ragioni quando la città si trovi investita dall’attribuzione di caratteristiche di città magica. La magia, infatti, si serve di forze occulte, sottoponendole a dominio, per raggiungere forme di potere tanto sul mondo spirituale quanto su quello fisico.
Quando si parla di Torino nei suoi aspetti più “strani” si fa un gran calderone, mettendo insieme le sette segrete che vi troverebbero ospitalità, insieme alle espressioni architettoniche di figure “diaboliche”, insieme alla forte storica presenza della Massoneria, insieme alla volontà di potere della famiglia reale che qui visse e regnò, insieme alla meravigliosa speciale caratteristica di aver dato vita nel corso della sua storia a una quantità veramente considerevole di iniziative, attività, forme di arte… e persino all’esistenza di uno stato, quello italiano.
Sarà per quella nebbiolina violacea che, soprattutto in passato, accompagnava i suoi lunghi inverni, sarà per il carattere dei suoi cittadini, schivi, apparentemente razionali e invece spudoratamente inventivi e creativi, sarà per la ricercata inquietudine della sua popolazione, sarà per quel certo gusto verso ciò che è nascosto, per le esplorazioni segrete svolte con discrezione. Sarà per la connessione nella sua storia e nelle sue leggende con l’antico Egitto, con la presenza in città di un museo egizio, pari per importanza solo a quello del Cairo.
Sarà per gli intensi bisogni spirituali che la sua gente ha sempre dimostrato, spingendola verso forme diverse di religiosità o di ricerca spirituale, per le grandi espressioni di fede e santità che qui si sono realizzate. Sarà sicuramente per la presenza sul luogo di monumenti, templi, oggetti sacri assolutamente speciali… insomma i dati particolari certo non mancano.
Sarà per la supposta presenza, nelle viscere della sua terra, del passaggio di ley lines, che ne farebbero un centro di particolare importanza per la comunicazione sottile di idee e di pensiero. Le ley lines, furono teorizzate nel 1921 da Alfred Watkins in base a una sua improvvisa intuizione, basata sull’osservazione che gran parte dei siti preistorici, gli imponenti megaliti e i crop circles, come i più importanti edifici di culto, fossero stati edificati sulle traiettorie di precise linee. Le ley lines, o linee di prateria, sarebbero dunque delle linee ideali che percorrerebbero l’intera superficie terrestre, incrociandosi tra loro. Proprio su questi incroci sorgerebbero i templi e i luoghi sacri. Sotto di esse, parallelamente ad esse, ma sotto terra, scorrerebbero fiumi sotterranei; inoltre sarebbero presenti filoni di minerali metallici. Lungo queste vie si troverebbero delle porte di accesso ad altre dimensioni, e i nodi di incrocio sarebbero popolati da fate, streghe e altri esseri fantastici. Possiamo immaginare queste linee come grandi fiumi di energia che circondano il nostro pianeta e lo collegano all’Universo, attraverso i quali possono viaggiare idee e pensieri. I nodi sulle ley lines sarebbero paragonabili ai chakra (sarebbero i chackra del pianeta). In prossimità di nodi i ritroveremmo dunque i luoghi che definiamo sacri: punti di incontro e di confluenza tra dimensioni e stati di coscienza diversi. Molte supposizioni portano a ritenere Torino un nodo importantissimo.
Da torinese doc mi dispiaccio un po’ quando sento accostare il nome della mia città all’esercizio di pratiche magiche di bassa lega, alle forme più deleterie di diavolerie, quando sento insistere sulla possibilità che vi si svolgano riti satanici o vi operino gruppi dediti al male e alla negatività. Non escludo che anche a Torino, come dovunque, ciò sia possibile, ma preferisco pensare alla luminosità di pensiero di tante persone che qui hanno lavorato per il bene comune, progettando un mondo migliore.
Quanto al senso del misterico, dell’occulto, di quel quid che senza alcun dubbio va oltre il velo della nostra sottile ignoranza, che oltrepassa la nostra capacità di ragione, mi sento nella condizione di accettare la possibilità che una variazione di percezione, più sensibile e acuta, attraversi il nostro mondo. Con rispetto, con sensibilità mi dispongo ad avvicinare questi aspetti della città di Torino.
È con questo spirito che questa rivista si occuperà della Torino esoterica.

Dove comincia la curiosità per il Graal

Certamente nel XIX secolo si è riacceso l’interesse per la storia del Graal, iniziata nel Medioevo, alla fine del 110, e sopitasi sotto la brace nei secoli successivi. Il poema Perceval o Conte de Graal compare nel 1185 e sebbene l’autore Chrétien de Troyes dica di aver basato il suo racconto su una storia preesistente, è con questo poema che si fissa il punto zero della nascita del Graal, o quantomeno della letteratura sul Graal; l’opera è peraltro incompiuta e abbandonata nel bel mezzo degli accadimenti di un episodio.
Nel 1200 Wolfram von Eschembach riprende i temi del Perceval, narrando secondo il punto di vista del protagonista, e poi perdendosi fra mille rivoli narrativi laterali, che s’intrecciano fra loro e con il racconto principale, complicando le gesta dell’eroe protagonista.
Poi si conobbe L’Estoire du Graal di Robert de Boron. Qui si risale alla ricerca delle origini del Graal tracciandola nella coppa servita nell’Ultima cena di Gesù, in cui fu poi raccolto il sangue del Cristo da Giuseppe di Arimatea. Fu lui a trasportare il prezioso calice in Bretagna. Ci si trova dunque di fronte a un’attribuzione al Graal di caratteri cristiani. Ciò avviene in questo testo per la prima volta.
Ecco comparire sulla scena fra il 1210 e il 1220 tre volumi, da attribuirsi con ogni probabilità ad autori diversi, ma così simili nello svolgimento del tema, da formare un corpus narrativo unico. Qui si stabiliscono i legami fra le avventure del cavaliere Lancillotto e l’eroe alla ricerca del Graal: il primo, infatti, non coincide in questo caso con il secondo, intepretato dal suo stesso figlio Galahad. La narrazione, che comprende tre romanzi distinti, è conosciuta impropriamente come I Graal di Lancillotto, fu attribuita a un solo autore, sotto lo pseudonimo unificatore di Gualtiero Map. Parte dal racconto dell’infanzia di Lancillotto, delle sue prime audaci prove, passa attraverso l’epopea di Artù, fino a centrarsi più specificamente sulla ricerca del Graal.
Con la fine delle guerre di Artù, insieme con lo spirito guerriero, si assopisce anche l’interesse per il Graal.
Rimarrà in sonno per alcuni secoli, e si riaccenderà solo molto più tardi, nel 1800, grazie a riedizioni del Perceval di Wolfram von Eschembach e delle Storie di Re Artù e dei suoi cavalieri, dove Thomas Malory nel XVII secolo narrò del “Sangreal”.
Ed ecco che negli ultimi anni del ‘900 divampa una nuova fiamma d’interesse per il Graal, a partire dal film di John Boorman, Excalibur, al romanzo Le nebbie di Avalon di Marion Bradley, fino al libro Il codice Da Vinci di Dan Brown, scritto nel 2003, pubblicato in Italia nel 2005, da cui è stato ricavato il film uscito nella primavera del 2006 nelle sale cinematografiche.

Grande Madre e Gran Madre

La definizione di Grande Madre appare tardi nella storia, ma il culto di una Dea generatrice, precedente ogni divinità maschile, data millenni, e si avvale di immagini collegate con il mondo della natura, prospera, sensuale e generatrice. Con lo scorrere del tempo, con gli spostamenti dei popoli, con l’intrecciarsi delle combinazioni di etnie e di culture e con la crescita di complessità delle culture, si assegnarono molti nomi alla dea, che pure mantenne vive caratteristiche simili presso popoli diversi.
Grande Dea, Grande Madre furono dunque nominate Inanna, Ishtar, Iside, Astarte, Afrodite, Venere, Demetra, Persefone, Ecate. In area mesopotamica vi furono Inanna o Ishtar, in area anatolica Cibele, in area etrusca ci fu Mater Matuta, i Romani ebbero Bona Dea o Magna Mater, l’area celtica vide la Dea Bianca, solo per nominare alcune personificazioni.
La “Gran Madre” cui fa riferimento il nome della Chiesa torinese della Gran Madre di Dio non è forse solo la Madre di Gesù, o la Madre di Dio, ma rammenta la figura della divinità preistorica, procreatrice di tutte le forme viventi, quindi di tutti gli uomini, signora degli animali e delle piante, prototipo di ogni forma di divinità di ordine femminile della mitologia classica e delle religioni del passato. La cosa non è poi così strana, dal momento che un persistente racconto, caro ai torinesi, che da tempo accompagna la città, ci dice che i resti di un antico tempio, alla base della costruzione neoclassica che oggi conosciamo, appartenessero a un antico tempio dedicato alla dea Iside.
Scavi archeologici su un antico tempio dedicato a Iside, divinità di origine egiziana, di fatto, sono state messe in luce in un altro sito, distante 35 chilometri da Torino, nel comune di Monteu da Po, fin dal 1754: si tratta del luogo di cui già Plinio il Vecchio ci dava notizie. Il luogo coincideva con la città romana di Industria, fondata sulla riva destra del Po. Del tempio di Iside, costruito in età augustea, resta l’imponente podio rettangolare, circondato da un recinto e preceduto dal pronao. Certamente non era l’unico tempio dedicato alla grande divinità, dai molti nomi, che si ergevano sul territorio che oggi definiamo come regione Piemonte, né lungo le rive dello splendido fiume, un tempo navigabile.
Il legame del luogo della Gran Madre con un tempio di Iside, o Iseion, e con la divinità di origine egizia, è tutt’altro che improbabile. Occorre tra l’altro dire che il legame di Torino con la civiltà egizia fu ampiamente trattato in testi storici, come nelle leggende che accompagnano l’interesse per le origini della città.
Quanto alla preesistenza di un iseion sotto la Gran Madre, occorre dire che è accaduto in numerosissime occasioni che chiese cristiane siano state edificate in luoghi in cui erano preesistiti templi dedicati a divinità più antiche, che li avevano preceduti. Certamente il nome scelto per la chiesa torinese induce a pensare agli antichi culti pagani per la Grande Madre, oltre a quello cattolico per la Madre di Dio.
La Chiesa della Gran Madre di Dio fu costruita, in stile neoclassico, al ritorno di Vittorio Emanuele I il 20 maggio 1814, dopo la sconfitta di Napoleone. Non a caso, sul timpano della chiesa è incisa l’epigrafe ORDO POPVLVSQVE TAVRINVS OB ADVENTVM REGIS, scritta dal latinista Michele Provana del Sabbione. La costruzione di un grande tempio commemorativo era stata decisa dal Comune di Torino, era da situarsi di fronte al ponte di pietra napoleonico, che portava al di là del Po, in direzione contraria alla città, verso le colline. La prima pietra fu posta nel 1818. L’architetto reale Ferdinando Bonsignore s’ispirò per il suo progetto al Pantheon di Roma. Per dare ampiezza alla prospettiva della costruzione, fu disegnata una scalinata alta sette metri e mezzo, in modo che allo sguardo la costruzione sacra non risultasse schiacciata. La chiesa è a pianta circolare; due alti muraglioni fiancheggiano la scalinata e si protendono in avanti, sostenendo le statue della Fede e della Religione, opera dello scultore Carlo Chelli. Anche la facciata e l’interno sono ricchi di statue. La costruzione non fu subito amata dai torinesi, che non ne apprezzarono il tronfio gusto neoclassico.
Le statue della Fede e della Religione portano visibili e indiscutibili simboli esoterici, appartenenti alla Massoneria. Cominciamo dalla statua della Religione, posta sulla destra. All’altezza dell’ampia fronte, su cui un velo poggia, prima di scendere posteriormente al capo, porta il segno di un triangolo con l’occhio divino. È un evidente segno massonico, fra l’altro l’emblema della setta degli Illuminati di Baviera, fondata dal professore e massone tedesco Adam Weishaupt nel 1776. Un angelo s’inginocchia accanto alla statua e porge alla donna le Tavole delle Legge, che i lembi della veste sfiorano. La mano sinistra indica il testo scritto sulle Tavole mentre la destra sorregge una croce. Ai suoi piedi è adagiata una tiara papale.
La donna di sinistra, la Fede, anch’essa assistita da un angelo, regge nella mano destra un libro aperto, mentre con la sinistra tiene alto un calice che, secondo alcune interpretazioni, rappresenterebbe il Graal. Su questa coppa bisogna dire che si è scatenata la fantasia degli occultisti, di alcuni studiosi, si è addensata la curiosità delle persone e la fioritura delle supposizioni. Sebbene la statua non sia dotata di occhi, poiché le palpebre sono chiuse, si è detto che la direzione dello sguardo (senza occhi è già difficile chiamarlo così) segnalerebbe il punto della città in cui sarebbe sepolto l’oggetto sacro, la coppa del Graal. Da qui in poi le fantasie sono fiorite a grappoli.
Quanto all’epigrafe dedicata al Re, anche attorno ad essa si sono scatenate supposizioni, suggerendo che al posto di una traduzione semplice e lineare (“La nobiltà e il popolo di Torino per il ritorno del re”), si potesse leggere il riferimento a un eventuale “Ordine taurino”.
Un’edizione del giornale cittadino, La Stampa, riportava nel 2008 l’ennesima brutta notizia riguardante eventuali messe nere, esercizio di magia nera e altre diavolerie, e questa volta la preoccupante informazione toccava proprio la Chiesa al di là del Po. Si pubblicava notizia nell’articolo di sicuri furti sacrileghi, operati nella Basilica, dove era stato sottratto un messale e l’ampolla contenente l’acqua del Piave, benedetta, conservata a ricordo dei caduti della prima guerra mondiale. Infatti, al piano sotto la chiesa, sotto il pavimento della basilica, è conservato l’ossario con i resti di circa quattro mila ragazzi, caduti in guerra. L’ossario è visibile attraverso un pesante e spesso vetro a forma circolare posto sulla pavimentazione della chiesa, dove molti turisti, sulla scorta di tradizioni provenienti da altri tipi di monumenti, di altre città, gettano monetine, in cerca della benevolenza della fortuna.
Al certo furto si aggiunse, in occasione dello scasso, il ritrovamento di tracce e di segni che portarono al sospetto dell’avvenuta celebrazione di messe nere: segni di cera, sul pavimento tracce del passaggio di almeno una decina di persone, l’altare a fianco del sacrario addobbato per un oscuro rito e per ospitare, forse, un corpo riverso.
L’informazione riportava il pensiero a quell’oscura faccia che la città di Torino fatica a scrollarsi dalle spalle, e che accompagna aspetti più luminosi della sua nomea di città esoterica. Chiaro e scuro, bene e male, magia bianca e magia nera, sono concetti dicotomici che spesso popolano l’immaginario relativo alla città di Torino. Molti detti, alcune leggende, episodi assai particolari, la presenza di speciali oggetti sacri (come la Sindone) e la loro complicata e tormentata storia, l’associazione del nome della città con altre città, come Lione o Londra, a formare geometrie magiche più o meno chiaroscure, tanti fattori, insomma, hanno sempre concorso a formare l’idea di una Torino che, sotto l’apparenza rigida e razionale, nasconde la propensione per il mistero. Occorre dire che la lettura di segni dal significato occulto per la maggior parte delle persone, i segni magici sparsi sotto forme scultoree o figurative sulle facciate di alcuni palazzi, la disseminazione di segni massonici evidenti in molte forme, hanno contribuito a formare l’idea di una città esoterica. Non mi sento proprio di negare che una buona fetta di verità sottenda molte suggestioni.
Anche nel caso dell’edificio di cui stiamo parlando, la Gran Madre, sono evidenti i segni lasciati dagli Ordini Massonici.
Bisogna dire che l’interesse per il Graal era rimasto sopito a lungo, sia nella creatività dei letterati sia in quella degli artisti.

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