OGGI NIETZSCHE MI HA SPIEGATO IL COVID di Letizia Gariglio

Capire Nietzsche, che pretesa! Leggerlo e rileggerlo, illudendosi di capire, forse. Eppure talvolta si apre uno squarcio e sulla scena si accendono le luci. Così, all’improvviso.

La degenerazione della specie umana è stata prevista da Nietzsche, che ne ha delineato le caratteristiche antropologiche e sociali. Alcune sono davvero simili, forse uguali, a quelle dell’uomo contemporaneo. Così, se vogliamo capire l’attualità, rivolgiamoci al filosofo tedesco, che ci racconta nel Prologo a Così parlò Zarathustra quello che lui definisce «l’ultimo uomo».

L’ultimo uomo è l’uomo che ha raggiunto l’ultimo stadio della decadenza: è un uomo che cerca innanzi tutto, sopra ogni cosa, il proprio benessere. 

Dopo decennale preparazione in ritiro sui monti, Zarathustra torna in città, per annunciare alla folla, incedendo come un danzatore,  l’avvento del superuomo, o oltreuomo  Ma la folla non potrebbe essere più indifferente alle sue parole, è sorda al suo richiamo a superare l’uomo, a divenire superuomo: l’uomo così com’è , vuole solo «retrocedere  verso la bestia»: «Una volta», dice Zarathustra, «eravate scimmie e ancora adesso l’uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia».  

Parla agli uomini del corpo e dell’anima: «Una volta l’anima guardava il corpo con dispregio, e questo dispregio era la cosa essenziale: essa lo voleva magro, orribile, affamato…l’anima si lusingava di emanciparsi dal corpo e dalla terra». Nietzsche tuttavia condanna questa condizione, di ascetismo o falso ascetismo, perché in sé l’anima non vale più del corpo, e quel tipo di anima diveniva martoriata come il corpo «orribile, affamata». 

Non è questa tuttavia la pecca dell’ultimo uomo: è, al contrario l’attenzione eccessiva per il proprio corpo, il proprio benessere, la ricerca della felicità, che si esprime nella comodità della vita. 

L’ultimo uomo è sazio, ben nutrito di becchime per tacchini, e il raggiungimento della soddisfazione del corpo fa sì che non abbia nessuna necessità di oltrepassare questa situazione; non aspira a un livello superiore di esistenza. «Si ha il piacerino per il giorno e il piacerino per la notte, ma sempre avendo riguardo alla salute. -Abbiamo scoperto la felicità, dicono gli ultimi uomini, e ammiccano». Ricusano la durezza della vita: «Hanno abbandonato le contrade dove la vita era aspra: hanno bisogno di calore»..

Così, l’ultimo uomo vive senza farsi troppe domande circa le eventuali pastoie che lo ingabbiano nel suo stato di cattività, di cui non vuole essere cosciente, e il desiderio di cambiamento è spento: importanti sono la sicurezza e l’agio. Tra un ammiccamento e l’altro, conduce la sua vita senza impegno, accontentandosi del piano puramente materiale.  È un uomo «incapace di disprezzare se stesso», ed è pericoloso anche per la terra: «La terra… vi saltellerà l’ultimo uomo che tutto rimpicciolisce. La sua razza è indistruttibile come quella della pulce; l’ultimo uomo vive più a lungo degli altri».

Ma c’è un aspetto preoccupantemente visionario del filosofo: l’eccessiva attenzione per la salute, una maniacale attenzione alla salute. La malattia è considerata dall’ultimo uomo il peccato mortale, e per preservarla egli si aggira circospetto e diffidente: «Ammalarsi è peccaminoso ai loro occhi: si procede con cautela».

È la stesso, isterico interesse che si percepisce oggi attorno a noi, dove l’obiettivo fondamentale di molti uomini è quello della sopravvivenza, e l’uomo, pur di perseguire la salvaguardia del proprio corpo, è disposto a rinunciare a quasi tutte le richieste dell’anima e dello spirito: la cultura, l’arte, l’amicizia, la convivialtà, perfino gli affetti.

Così la vita si riduce a una sorta di non-vita, al puro piano materialistico. Così, al tempo del Covid, la salute non può essere il risultato di uno stato naturale, che scaturisca dall’equilibrio di vita fisica e emotiva: deve invece essere il risultato di una medicalizzazione imposta dall’esterno, i cui tempi e modi sono parimenti imposti dall’esterno, insieme a somministrazioni di farmaci e certificati. Nessuna autonomia viene data all’uomo di oggi dal potere politico-sanitario, circa la determinazione individuale delle proprie condizioni e le scelte sulla propria salute. La determinazione viene imposta da fuori e l’uomo di oggi, come l’ultimo uomo di Nietzsche, si sottopone per lo più senza ribellioni, pur di essere uguale agli altri (pena la perdita del lavoro e il proprio posto nella società).

Come l’ultimo uomo anche noi arriviamo ad accettare, non sempre inconsapevolmente, un po’ di veleno pur di continuare a far parte del gregge. È nel gregge che l’ultimo uomo pascola felice, perché il suo maggior desiderio è essere e sentirsi uguale agli altri: « Niente pastore e un sol gregge!. Tutti vogliono  la stessa cosa. Tutti uguali. Chi la pensa diversamente va da sé al manicomio».

Persino la morte è una morte medicata, perché una giusta dose di veleno solleva dalla sofferenza e permette di morire piacevolmente: «Un po’ di veleno, di tanto in tanto:  procura piacevoli sogni. E una buona dose di veleno, alla fine, per morire piacevolmente».

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