GLI ALTRI PUZZANO SEMPRE DI PIÙ di Letizia Gariglio

(articolo pubblicato nel mese di maggio 2020 su “Parole in rete”)

Quando all’umanità fa comodo non si vergogna di impiegarli anche in guerra. Erodoto ci racconta che gli scorpioni venivano riversati sulle truppe romane dalle popolazioni mesopotamiche. Già i Sumeri impiegavano i cavalli in battaglia e verso essi i conquistadores spagnoli ebbero un grande debito. I piccioni, si sa, svolgevano la funzione successivamente assunta dalle onde radio. Gli elefanti servirono l’India fin dal IV secolo, furono i protagonisti delle guerre Puniche e Annibale grazie a loro  attraversò le Alpi e giunse in Italia. Gli Arabi preferivano i cammelli per guerreggiare. I muli, amati dai nostri Alpini,  da sempre furono abituati a trasportare merci e armi degli eserciti sui ripidi versanti delle montagne. I cani erano impiegati nella guardia degli accampamenti. Si narra che nell’ultima guerra gli scienziati nazisti volessero nuovamente allagare l’Agro Pontino, perché le zanzare fermassero gli Alleati in avanzata vero il Nord della nostra penisola. Si sa che Roosevelt stesso non fosse contrario all’idea di sganciare bombe con migliaia di pipistrelli sui cieli  giapponesi, per disturbare i voli del nemico. E questo non è che un elenco non solo incompleto, ma appena accennato degli animali adoperati a fini bellici.

Chissà se è venuto il momento, per tutti gli animali, di ribellarsi, di ripagarci della stessa moneta?

Pare che il 75% delle nuove patologie umane sia di origine zoologica. Il salto di specie può non riguardare solo gli animali selvatici, ma è accaduto più volte nel corso della storia che un animale in qualche modo più vicino all’uomo abbia fatto da anello intermedio: si è trattato di animali da allevamento come polli, conigli, o anatre. È accaduto specialmente quando gli animali da allevamento venivano trattati, diciamo così…  non troppo bene.

Noi sappiamo come gli allevamenti causino tra l’altro la resistenza agli antibiotici, dal momento che noi ne rimpinziamo gli animali che negli allevamenti “vivono”, o meglio che vi “transitano” ( sono bloccati in gabbie!) per essere cresciuti abbastanza da divenire il nostro pasto: i batteri hanno modo di acquisire la capacità di resistere ai farmaci, di mutare e di sopravvivere.  In generale, tuttavia, l’espansione in numero e in grandezza degli allevamenti intensivi degli animali è senza alcun dubbio una fra le cause principali di diffusione di malattie animali e del passaggio successivo dagli animali all’uomo, in forma epidemica o pandemica.

Lo abbiamo vissuto con l’ “aviaria”, nata nel Sud Est dell’Asia attorno al 1968 e giunta nello stesso anno negli Stati Uniti. Assomigliava molto alla Asiatica, rilevata i Cina nel 1957 e diffusasi  anch’essa gravemente in Occidente. Nell’uomo si associò alle polmoniti: Si ripresentò nel 1972 e fece un milione di morti in tutto il mondo.Dal 1996 si ripropose in tutto il mondo , nel 2000 questo virus – mutato – è stato isolato anche nei volatili domestici (polli, tacchini), nel 2003 ci furono i primi casi di trasmissione all’uomo.La peste suina prima colpì gli animali ma dal 2009 ha contagiato anche gli esseri umani, iniziando dal Messico e espandendosi poi in più di ottanta paesi.

Adesso tutta l’attenzione, in occasione del Covid 19, va ai famosi wet market, diffusissimi in Cina, dove gli animali vengono condotti vivi e ammazzati sul posto, con grandi spargimenti di sangue, forti odori di carni, creazione di una sorta di melma, che ricopre i pavimenti dei mercati, composta da liquidi, carni, frattaglie, interiora, trucidi risultati del massacro perpetrato a una serie di animali, fra cui capre galline pipistrelli maiali pangolini conigli cani volpi cammelli struzzi scimmie… e  chi più ne ha più ne metta, in una lista molto lunga (sebbene a noi appaia improbabile)  di animali che noi occidentali non consideriamo eduli: un panorama di pratiche che a noi paiono inaccettabili dal punto di vista igienico. Dal punto di vista etico, poi, tralasciamo volentieri di esprimere giudizi, tranne quando ci inalberiamo per aborrire alcune forme di crudeltà propinata a questi animali che persino noi ci ricordiamo di definire estrema. Del resto, ci dimentichiamo anche di ribellarci al modo con cui da noi, senza andare troppo lontano, trattiamo ad esempio i nostri maiali negli allevamenti. Facciamo gli scandalizzati di fronte ai cinesi, ma grazie a che cosa? Ci sentiamo forse più evoluti solo perché i nostri allevamenti si sviluppano su un piano solo invece che in grattacieli a molteplici piani, come avviene in Cina? Siamo dunque virtuosi in modo inversamente proporzionali alle altezze degli edifici? Non ci viene neppure in mente di chiederci in che cosa siamo uguali o diversi, e nemmeno quale giustizia ci sia nel nostro rapporto con la natura e con gli animali.

Semplicemente tutta la storia dell’Occidente ha seguito le stesse vie che oggi vediamo pienamente ancora attive in Oriente. Semplicemente abbiamo smesso qualche anno prima. Anzi, mi risulta, se non sbaglio, che numerosi wet market siano ancora pienamente in attività in civilissime città come quella di New York.

Rammento la descrizione di Patrick Süskind nelle prime pagine del suo romanzo “Il profumo”, ambientato a Parigi  nel 1700, dove nasce il protagonista del romanzo, partorito  sotto un banchetto di pescivendolo, fra i miasmi della calura estiva proveniente dal cimitero, e la puzza dei pesci mescolata a quella dei cadaveri umani. La povera giovane madre, pescivendola,  non fa differenza fra le interiore sanguinolente, lo sciame di mosche e le teste  di pesce tranciate con cui mescola il neonato. Scrive l’autore: «Nel diciottesimo secolo non era ancora stato posto alcun limite all’azione disgregante dei batteri, e così non vi era attività umana, sia costruttiva sia distruttiva, o manifestazione di vita in ascesa o in declino, che non fosse accompagnata dal puzzo».

Forse  la differenza fra gli uomini del diciottesimo secolo e noi, fra le cause di malattie del passato e quelle contemporanee non è ancora così segnata dalla differenza come pensiamo. 

E nemmeno i nostri comportamenti. Ma, chissà perché, pensiamo che gli altri puzzino sempre di più.CONDIVIDI

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