LE IMPRESSIONANTI FALSITÀ DELL’INFORMAZIONE (FANDONIE) di Letizia Gariglio


Le impressionanti falsità dell’informazione: Timisoara
 di Letizia Gariglio, articolo tratto dal mensile in rete “Parole in rete”

Un cittadino cecoslovacco (Cechia e Slovacchia erano ancora unite) nel dicembre 1989 riferì all’Agenzia di Stampa ungherese MTI che colpi di arma da fuoco erano stato sparati a Timisoara. Chi ha l’età potrà ricordare la notizia, perché essa si trasformò in breve tempo in una bufala di ordine planetario.  Fu ripresa nella stessa serata dalla TV di stato ungherese, che non citò la fonte, ma aggiunse che lo scopo della sparatoria  era stato quello di impedire la deportazione di un pastore protestante. In effetti si era svolta a Timisoara una manifestazione in favore di un pastore protestante minacciato dalla Polizia di Ceausescu; ed erano veri anche gli spari sentiti, però, il 15 dicembre (due giorni prima). Nella serata del 17 la radio di Vienna riferì anch’essa di incidenti avvenuti nella cittadina della Romania (veri anch’essi). Il giorno seguente la notizia rimbalzò fra le pagine di Le Monde del Corriere della Sera: riferirono di arresti e cariche della polizia.

Il martedì 19/12 tutti gli organi di informazione si scatenarono. Washington Post annunciava sangue a Timisoara. Ma l’Unità fu anche più incalzante: si paventavano da 300 a 400 morti. La Radio Ungherese parlò di cittadini assassinati e di cadaveri all’ospedale. Tutto il mondo si agitò alla notizia che la cittadina romena, dove Ceauscescu esercitava ancora il suo potere di ferro, fosse il cento di scontri davvero importanti. Le rotative di tutto il mondo impazzirono: Timisoara era completamente distrutta; i giornali e i loro giornalisti si lanciarono uno sull’altro, uno contro l’altro, uno più dell’altro. Iniziarono a fornire particolari dapprima inquietanti, poi violenti, infine raccapriccianti: bambini schiacciati dai tank, donne incinte trafitte da baionette, mitragliate a raffica sulla folla… uno sterminio.

Il 21 il dittatore del Paese si dava alla fuga, perché, dicevano i giornali, erano restati sul terreno 4660 morti, 1860 feriti… per non parlare del numero di arresti.

Sugli schermi TV arrivarono le immagini, con la notizia che fossero state scavate fosse comuni, dove i cadaveri erano stati frettolosamente accatastati. Immagini di corpi mutilati, fatti a pezzi, corpi disseppelliti e ripresi con le torce nel buio della notte: scene da tregenda. La difficoltà di comunicazione con i Paesi della ex Jugoslavia rendeva ancora più drammatiche le immagini e le notizie, cui si aggiungeva il vuoto di una distanza artificiale.

Alla fine comunque i giornalisti di tutto il mondo giunsero a Timisoara. E tutti confermarono. Confermarono la veridicità di morti e feriti, la drammaticità dei toni e la descrizione della scene: si trattava senza alcun dubbio di una strage, esaltata dalle parolone dei titoli e degli articoli. Qualcuno arrivò ad affermare di aver personalmente assistito alla “battaglia di Timisoara”. 

La macchina televisiva funzionava al meglio e gli avvenimenti erano sotto gli occhi di tutti: corpi nudi legati con filo di ferro,  cadaveri sventrati, donne mutilate, feti trucidati e abbandonati avevano reso Timisoara l’Inferno romeno. 

Collaboravano per Avvenimenti due giornalisti, Michele Gambino e Sergio Stingo, al loro giornale venne in mente di mandarli sul luogo per raccogliere notizie dirette. Appena arrivati a Timisoara corsero per vedere i cadaveri. Li videro: erano pochissimi, erano in avanzato stato di decomposizione (chiaramente deceduti da alcune settimane; la madre sventrata aveva oltre 60 anni (troppi per essere madre) e il feto appoggiato sulla sua pancia era un bimbo bello e fatto (nemmeno un neonato). Qualcosa non tornava; tutto era molto strano. 

Fu il custode del cimitero a svelare l’arcano. Affermò di aver invano spiegato a tutti i giornalisti che quei corpi erano stati sottoposti all’autopsia, ero appartenuti a barboni, a derelitti, perché quello, si affannava il becchino, era il cimitero dei poveri: non erano stati torturati, assicurava, e poi erano stati disseppelliti “dopo”, ed erano stati contesi da tutti quei giornalisti e tutti quei fotografi! E ancora si disperava, il pover’uomo, di non essere stato creduto.

Quando tornarono in patria il giornale dei due cronisti stentò a credere a una simile enormità: come contrastare tutti i giornali del pianeta?

Intanto la dittatura romena era caduta, non esisteva più, e il massacro di Timisoarafaceva già parte della storia: non era più un argomento di attualità.

Nel 1990 una rete televisiva tedesca ammise che foto e riprese di Timisoara erano state falsificate, scattate con messinscene; in seguito anche le autorità romene ricostruirono i dati anagrafici dei corpi macchinosamente usati: chi era morto di alcolismo, chi di freddo, chi di congestione…

L’inganno, probabilmente ordito per destabilizzare definitivamente la dittatura, era avvenuto consapevolmente, almeno da parte di alcuni (aveva però storicizzato una realtà inesistente): altri, nel mondo dell’informazione, avevano semplicemente seguito la corrente.

Alcuni giornali fecero un po’ di autocritica.

Ma per che cosa si ricorda oggi Timisoara? Si ricorda per il massacro, perché «il passato è quanto viene ricordato… dalla memoria dei singoli individui», diceva Orwell. E la correzione di un’informazione falsificata, in parte o del tutto, conta molto poco: la falsa informazione, se fa leva sugli istinti e sulle emozioni (parla alla pancia, qualcuno dice), soprattutto se fornita in modo impressionante, resta nella memoria degli individui come la verità degna di essere memorizzata.

(dicembre 2018)

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