La nostra CASA

Ci vogliono 12 zeri per scrivere un miliardo (o bilione, in lingua inglese); se noi quella cifra la moltiplichiamo per tre e mezzo, otteniamo pressapoco il tempo in cui è stata popolata la Terra. Bene, in questo tempo sono sparite il 95% delle specie viventi. Ora si calcola che negli anni futuri ne spariranno molte di più.
Eppure, siamo davvero preoccupati per le dinamiche ambientali? A parte qualche bel discorsetto che abbiamo ascoltato attorno alla data della Giornata della Terra (22 aprile), non registro vibranti interessi. Anzi, credo di notare nel mondo una certa indifferenza per i problemi ambientali.
Certo, ci sono problemi che appaiono più urgenti! Ma se i governi stessi non sostengono l’importanza del pensiero ambientalista, questo finisce facilmente nel dimenticatoio, dopo aver girato un po’ come le banderuole, secondo il vento politico che tira.
Bisogna ammettere tuttavia che la gente è stufa di dover aggiungere alle minacce che la vita propina anche quelle che riguardano la natura, il riscaldamento globale, lo scioglimento dei ghiacci, il cambiamento climatico, la riduzione delle foreste tropicali… ecc. ecc. Basta, dice il pensiero comune, in fondo tutto questo è lontano da noi: lontani i ghiacci, le foreste, lontana la siccità. Magari l’inquinamento no, quello no, ma insomma… E poi, diciamola tutta, tutte ‘ste parole sull’ambientalismo hanno stufato anche perché mostrano sempre il bicchiere mezzo vuoto, mai quello mezzo pieno.
Voi credete che abbia interpretato bene il pensiero di molti di noi? Io sento di esserci molto vicino.
Allora, per non stufare ancora, desidero consigliare la visione di un bellissimo documentario, terribilmente efficace, la cui visione è gratuita. È un documentario che sa indicare il pericolo del bicchiere mezzo vuoto mostrando quello mezzo pieno. Mostra tutte le bellezze della nostra Terra, creatura affascinante, viva, pulsante, e martoriata. È di Yann Arthus-Bertrand. S’intitola Home: Casa. Semplicemente Casa. Eh già, perché la Terra, che sempre più spesso trattiamo alla stregua di una infetta discarica, è la nostra CASA.
Yann Arthus-Bertrand ce la mostra dall’alto (è la sua specialità) con riprese aeree che tolgono il fiato. Il documentario, formato da un susseguirsi di suoi scatti fotografici – ma preferirei dire l’opera d’arte, ce la mostra come un corpo ricco di vasi sanguigni. L’acqua scorre nei suoi vasi come linfa negli alberi, come sangue nelle arterie e nelle vene. Del resto anche il nostro corpo è formato per sette decimi da acqua.
Ecco i fiumi trarre minerali dalle rocce, riversarli in laghi, in altri fiumi, e poi ancora in mari ed oceani, che diventano sapidi. Acqua, acqua nella sua attività costante, nei suoi cicli imperituri, se non interviene la mano dell’uomo a interromperli.
Ecco gli uomini che in parti diverse sulla terra vivono ancora come seimila anni fa, solo grazie alle forze della natura. E l’uomo dipende dall’acqua. Lo vediamo arrabattarsi per lavorare, trarre sostentamento dalla terra. Lo vediamo ingegnarsi nell’affidarsi a invenzioni originali, all’aiuto di animali. Fragile creatura, piccola cosa in confronto alle forze immense della natura, ha dovuto riconoscere la sua debolezza: ecco la sua genialità.
Quante cose sa creare l’uomo; immerso in un mondo di armonia e bellezza è stato in grado di creare cose belle: le belle città delle civiltà del passato. Sono lì, imperiture, quando la guerra degli uomini non le abbia distrutte. Anche nei suoi gesti di lavoro, quando si è fatto agricoltore, ha saputo rispettare i doni della terra, i suoi lieviti – i cereali. Allora ha saputo modellare il suolo con gesti rituali. E ha disegnato le superfici dei campi come fosse quadri.
Così, attraverso il lavoro, l’uomo ha intuito l’enorme importanza dell’energia: fuoco, e fuochi imprigionati: il carbone, i gas, il petrolio. Ha capito l’importanza dell’energia imprigionata nella terra, quale riserva di sole.
Per conoscere un livello di benessere senza precedenti bisogna arrivare fino al petrolio. Allora l’uomo ha iniziato a fare l’esperienza della velocità: tutto è divenuto veloce, sempre più veloce, ancora più veloce. Siamo cresciuti anche noi, razza umana, in modo sempre più veloce: nelle città ci siamo assembrati in cinquant’anni, in venti siamo diventati due milioni solo nelle città. In alcune città – Shangai per esempio, negli ultimi vent’anni si sono triplicati gli edifici, costruiti in modo sempre più veloce, grazie alle macchine e al petrolio.
Ecco New York, anch’essa bella nella notte, prima megalopoli del mondo, simbolo dello sfruttamento di tutte le risorse della terra: braccia, migranti, carbone, petrolio. E nelle campagne macchine, macchine veloci: che importa se le nuove artificiali colture rimpiazzano quelle scomparse; ecco i concimi, la plastica che tutto ricopre.
Quelli che sono: campi di concentramento? No, sono allevamenti di carne. Ci vuole più carne per essere più veloci. Alleviamo bestiame, più bestiame, più velocemente. Usiamo dunque acqua, tanta acqua, più acqua ancora per allevare bestie.
Ci volevano cento litri d’acqua per coltivare un chilo di patate. Ce ne volevano quattromila litri per un chilo di riso, adesso ci vogliono tredicimila litri per un chilo di carne. Ma il mondo civilizzato vuole carne, più carne, ottenuta più velocemente e in modo sempre più innaturale. Ma che importa?
Bisogna andare più veloci, anche se qualcuno dice che il petrolio sta finendo. Sarà vero? Eppure sembra un cielo stellato Los Angeles nella notte, con le sue migliaia di stelle.
Così occorre prendere altre migliaia di stelle da sottoterra: minerali, minerali e ancora minerali: quasi finiti anch’essi. Eh, ma questa è una mania degli ambientalisti! Se diamo retta a loro qui finisce tutto.
Invece noi umani dobbiamo andare veloci, dobbiamo trasportare i nostri beni di consumo a migliaia di chilometri, perciò dobbiamo avere petrolio, più petrolio, più in fretta. Ecco Dubai, culmine del modello occidentale, sorta sul niente di un deserto. Sa contendere persino al mare lo spazio ottenuto col cemento. Non c’è acqua nel deserto? E che importa. Faremo lavorare le macchine, per ottenerla dal mare. Avanti col petrolio!
Ecco un rigagnolo laggiù. Chi dice che è un fiume? Ci vogliono fare credere che sia il Giordano.
E quei bei fiumi che abbiamo visto all’inizio del documentario, dove sono? Non ci sono più?
Manie degli ambientalisti!

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