TORINO ED ARCHITETTURA ESOTERICA

TORINO ED ARCHITETTURA ESOTERICA:

(servizio pubblicato su Oltre, n. 34)

Strane facce di pietra

La difesa ai mascheroni e ai batacchi

Draghi e serpenti, energia vitale e rigenerazione

 

Strane facce di pietra

In un numero precedente della nostra rivista abbiamo iniziato, con La Chiesa della Gran Madre, un percorso nella Torino esoterica.
Continuiamo qui disponendoci ad una passeggiata fra i numerosissimi palazzi torinesi che mostrano, sulle loro stesse facciate, e qualche volta nell’interno dei loro splendidi cortili, strane facce, che sembrano guardarci dalle loro posizioni di osservazione privilegiata, dall’alto, sulle chiavi di volta. Scolpiti nella pietra o realizzati in litocemento, ecco i mascheroni torinesi, posti a vigilare sugli abitanti degli edifici contro ogni avversità. Qualche volta ci osservano, celati anche nelle forme dei batacchi, o battocchi, o picchiotti. Stanno lì a consentire a chiunque di bussare alla porta, ma minacciano di saper scegliere coloro ai quali sarà permesso d’entrare.
Allontanare il male: preoccupazione presente nell’architettura antica come in quella greca e romana, dove con significato propiziatorio Satiri e Gorgoni ornavano le antefisse dei templi. Preoccupazione giunta attraverso i secoli fino a noi, in ornamenti di chiavi di volta, nelle cornici e nelle mensole sporgenti sulle facciate, nei mascheroni dalle fattezze umane o animali, e qualche volta persino vegetali. Talvolta questi segni in pietra, in terracotta o in calcestruzzo, possiedono caratteristiche grottesche, rappresentano diavolacci, streghe, uccelli notturni, draghi pericolosi e rettili infidi. Sono posti a scopo protettivo, apotropaico, essendo in grado di esorcizzare il male, allo stesso modo con cui lo sanno fare le fattezze deformi o grottesche, tratte dall’immaginario demoniaco, che si attribuivano ai volti mostruosi.
Già Bernardo di Chiaravalle si domandava, nel XII secolo, che cosa ci facessero nei chiostri, le “ridicole mostruosità”: scimmie immonde, feroci leoni, centauri mostruosi. Si preoccupava che in quei luoghi di preghiera e di studio, si potesse ottenere maggior gusto a “leggere i marmi” che a studiare i codici miniati e a meditare sulla legge di Dio.
Non doveva avere tutti i torti, dal suo punto di vista di “bacchettone” rigorista, eppure i mostri erano da tempo entrati a far parte dei luoghi di meditazione. Poi, nei secoli successivi, entrarono anche a far parte delle pagine miniate, in margine agli scritti, insieme alle note segnate dai monaci sugli spazi lasciati liberi (marginalia). Si cercò di mettere almeno un po’ di ordine fra queste mostruose figure di Dio, inventando i bestiari moralizzati, nei quali si cercò, fra mille sproloqui, di dare un senso allegorico anche alle figure mostruose.
Oggi qualcuno, guardando queste forme dalle strane fattezze sulle facciate dei palazzi, non se lo ricorda più a che cosa in origine servissero.
Per chi poi, come i cittadini di Torino, è abituato a essere circondato, in palazzi storici del centro e di molti quartieri, da ornamenti architettonici di questo tipo, può intervenire l’assopimento della percezione: non ci si stupisce neanche più. Ed è un vero peccato, poiché è davvero un grande regalo poter vivere e camminare fra le strade di una città che regala il godimento artistico lungo gran parte delle sue vie.

La difesa ai mascheroni e ai batacchi

 

La tradizione accademica decorativa, come accennato, arricchisce gli edifici di Torino, città squisitamente barocca, ma ad essa si va ad aggiungere il segno di un’altra cultura architettonica, che ha lasciato anche sugli edifici un’incidenza profonda: quella massonica. Questa, dal momento che si tratta di una cultura esoterica, è stata assai meno studiata della prima.
Non solo gli edifici barocchi si arricchiscono di ornamenti, ma essi proseguono fino al novecento, entrando a far parte delle costruzioni architettoniche residenziali a cavallo tra il XIX e il XX secolo, caratterizzate dal cambiamento delle tecniche costruttive, le quali videro l’introduzione dell’uso del cemento armato. In quel periodo di grande eclettismo l’uso di queste figure ornamentali ebbe una bella fioritura.
La maschera ha sempre affascinato gli artisti, non solo di teatro: è un oggetto squisitamente enigmatico, mezzo adatto a determinare una rapida metamorfosi, potendo allo stesso tempo nascondere e svelare. Anche in architettura, come spesso è accaduto in teatro, la maschera, o mascherone, disegna tratti esasperati, fissando l’espressione in una forma immutabile e definitiva.
Tra i diversi mascheroni un posto eccellente è riservato al diavolo, nelle sue caratteristiche più tradizionali: la massima fioritura della bruttezza. Eppure proprio brutto e antipatico, sopra gli architravi dei portoni o sulle maniglie dei batacchi, non lo si può dire, e nemmeno brutto e cattivo.
Con le smorfiacce che fa non gli riesce difficile farci sorridere, e se poi hanno tentato di aggiungergli, per buona misura, orecchie belluine ed irsute, corna caprine, denti equini o di qualche altra specie animale, con contorno di linguacce spropositate, rischia, invece di farci paura, di farci sorridere. Falsamente truci, questi satanassi, per nulla macilenti, anzi, ornati da gote carnose, finiscono con l’attirare le nostre simpatie. Ammetto che fra gli angeli e i demoni, preferisco gli ultimi.
Così come, tra i putti, i bucrani e i draghi alati, sono certamente questi ultimi ad attirare maggiormente l’attenzione.
I bucrani, vale a dire le teste di vacche e tori (qualche volta di bufale) sono un soggetto molto interessante in archeologia e in mitologia, ma non sono sicura che siano stati posti nelle loro sedi architettoniche con una precisa conoscenza del significato, ma piuttosto siano stati scelti come soggetti idonei, per la loro plasticità, a sollecitare la creatività dello scultore. Il mondo archeologico e, fra tutti, una delle sue maggiori esponenti, Marija Gimbutas, ha ampiamente dimostrato il significato che i bucrani possedevano, quando erano posti a decorazione delle tombe ipogee neolitiche. Rappresentavano in modo perfetto l’apparato femminile, con ovaie, tube di Falloppio e utero. Erano forme rappresentative della Divinità Femminile, precedente ogni divinità maschile d’era patriarcale, in grado di dare rigenerazione ai corpi posti nella terra, cui la Dea avrebbero donato nuova vita. L’Italia è ricca di bucrani perfettamente conservati, soprattutto in Sardegna. Trovarli appesi a fianco dei portali delle case torinesi fa un certo effetto, ma sono certa che non mancheranno di dare lunga vita agli abitanti o ai frequentatori degli edifici su cui si trovano.
Del resto, non è forse il toro l’animale collegato con la città di Torino?

Draghi e serpenti, energia vitale e rigenerazione

Draghi, draghetti, serpenti e ippogrifi alati abbondano in città.
Che un drago sia sempre imparentato con serpenti e rettili, non vi è dubbio. Nell’origine del nome, e nel contenuto di alcuni racconti mitici, c’entra anche l’atto del guardare con vista acutissima: Omero stesso nell’Iliade parla del drago con vista acuta e forza leonina.
Al mondo biblico i draghi non sono mai stati tanto simpatici, come del resto i serpenti: in comune pare avessero una certa pericolosa propensione alla volontà di conoscenza e il possesso di una vasta sapienza. Caratteristiche entrambe pericolosissime, soprattutto se associate alle velleità del genere femminile. Dunque, non potevano che essere catalogati come esseri malefici, in combutta con il diavolo. Anzi, rappresentazioni del diavolo stesso.
Se un drago aveva tante teste, poi, come l’Idra di Lerna della mitologia greca, era decisamente meglio tagliargliele tutte. E come stupirci che a una tipa brutta come Medusa gliel’abbiano tagliata, la testa, se aveva tutti i serpenti al posto dei capelli? E che dire della pessima abitudine, tutta femminile, di parlare a proposito e a sproposito, come faceva l’antica sacerdotessa che abitava a Delfi, in compagnia del dragone chiamato Pitone? Via anche il Pitone, trafitto dallo stesso dio Apollo. Ed ecco la sacerdotessa, perduta la sua abilità autonoma di divinare, parlare solo per volontà del dio. Che diamine. Tutti eroi, questi uccisori di draghi, come il guerriero San Giorgio. Ben gli sta che poi l’Arcangelo Michele abbia scacciato pure il drago dell’Apocalisse dalle sette teste e dalle dieci corna: via, cacciato dal cielo.
Ma abbandoniamo lo scherzo, e cerchiamo la causa di tanta malevolenza verso questi creature costruite, in parte, dalla fantasia.
Abbiamo il sospetto che l’antipatia diretta verso il mitico essere così fortemente imparentato con sauri e serpenti, abbia attirato nel corso della storia sviluppatasi attorno alle importanti culture religiose monoteiste, un’antipatia molto simile a quella che la realtà attribuiva all’elemento femminile: in epoche storiche posteriori all’antico Neolitico, infatti, nel quale invece si ritrovano importanti tracce della considerazione attribuita ai rettili, come espressioni di forza di rigenerazione femminile, fu ingaggiata nei loro confronti una vera e propria guerra.
Nelle incisioni e sulle ceramiche della cultura neolitica, al contrario, in cui primeggiava la divinità femminile, la Grande Dea della ciclicità delle espressioni della vita, la dea stessa veniva disegnata con segni di movimento dinamico: spirali che giravano in senso centrifugo, serpenti attorcigliati e ondulanti, circoli, movimenti di innalzamento e abbassamento delle maree, corna bovine, germogli movimentati con linee spiraleggianti di crescita. Fra gli animali cari alla dea spiccava il serpente, animale capace di rigenerarsi compiendo la muta, di stare nelle viscere della terra e fuori.
Il serpente era il simbolo più importante della divinità femminile, sia nella sua forma figurata sia nella sua forma astratta di spirale: significava l’energia vitale e la rigenerazione. Ancora nella civiltà greca e romana era diffusa la credenza che i serpenti agissero da protettori del focolare e che, essendo in grado di deporre molte uova, fossero portatori di fertilità; si riteneva inoltre donassero letizia agli uomini e prosperità per i loro raccolti e le loro greggi. Anche l’arte di guarigione, esercitata nel mondo greco dal dio Hermes, era simboleggiata da due serpenti attorcigliati sul caduceo (il simbolo rimane ancora oggi sulla soglia di molte farmacie). Non dimentichiamo che nella tradizione indiana si rappresenta come un serpente attorcigliato l’energia vitale della Kundalini.
Tuttavia, come ben sappiamo, i segni e i simboli che gli uomini pensano di aver cacciato e ridotto al margine del luminoso mondo maschile, sono difficili a morire: capita che dall’oscuro mondo dell’inconscio ritornino, magari per strade secondarie, quando quasi nessuno pare più ricordare il loro significato, divenuto ormai nebuloso, e, non si sa bene perché, si assestino qua e là, su un portone, un architrave, un chiavistello, mentre inosservati sputacchiano fuoco sui passanti, posando i loro occhi di brace.
E così, dalle facciate degli edifici torinesi, draghi e serpenti, con ali e senza ali, disegnati in piccole forme o tracciati nelle dimensioni di antichi dinosauri, linguacciuti o caudati, non mancano di proteggere gli abitanti all’interno dei palazzi, donando loro un quid della sapienza delle antiche Madri, e controllando, con vista acuta, i nemici alla porta.

 

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