TRAME E ORDITI DI UNA TELA FAMOSA

TRAME E ORDITI DI UNA TELA FAMOSA

(servizio pubblicato su Oltre, n. 30)

 

Ostendere e osservare nel rispetto

 

Tra i verbi “ostendere” e “ostentare” c’è qualche parentela, poiché entrambi implicano l’atto di mostrare, ma nel secondo caso l’azione si accompagna anche a un certo grado di affettazione.

Non vi è alcuna volontà di esibire chiassosamente la propria fede, invece, nei pellegrini che si avvicinano oggi alla manifestazione del Lino Sacro, o che hanno aderito alle precedenti manifestazioni di Ostensione della Sindone, vivendo un momento culminante e denso di emozione nel loro percorso di fede, vissuto nell’interiorità.

Non ha mai ostentato la Chiesa volontà di considerare il telo, conservato nel Duomo di Torino, come quello stesso telo che nella storia tragica di Gesù servì per accogliere il suo corpo, deposto dalla Croce, dopo che Giuseppe di Arimatea lo ebbe ottenuto dal Sinedrio.

Ancora oggi il Cardinale Poletto, Arcivescovo di Torino, ribadisce il concetto che non tocca alla Chiesa stabilire se la Sindone che conosciamo, e che trova ospitalità permanente a Torino, sia realmente il lino che avvolse il corpo del Cristo dopo le torture e la morte. Ritiene, infatti, che la Chiesa non abbia, e non debba necessariamente avere, la competenza scientifica per arrivare a una conclusione in merito, né assumersene la responsabilità. L’Arcivescovo accoglie tuttavia dalla tradizione l’idea che il lenzuolo sia una reliquia autentica.

Qualche forma di ostentazione, se proprio vogliamo, si legge invece in quei programmi della TV che amano trasformare la rievocazione dei fatti posti all’inizio della storia del cristianesimo come l’elemento “giallo” da ricostruire nello studio televisivo, secondo modalità tipiche della fiction poliziesca, in cui le macchie di sangue, le tracce di DNA, la presenza di pollini esotici, ma anche il numero di spine della corona (o del casco!) di tortura possono costituire elementi imprescindibili per la risoluzione del caso. Accorsi davanti alle telecamere, tutti, scienziati, studiosi, pseudo-studiosi, e quant’altro, affilano il bisturi della loro parola come anatomo-patologi, pronti a vincere all’ultima lama, pur di imporre la loro personale pregiudizievole convinzione.

Niente di tutto questo a Torino. Né oggi né ieri, nello spirito della città.

Basti pensare che l’organizzazione di questa Ostensione ha rifiutato la possibilità di realizzare una apparizione in 3D, come qualcuno avrebbe potuto volere. La Commissione e il Comitato di collaborazione fra Regione Piemonte, Provincia di Torino, il Comune e la Diocesi, fra cui sono presenti anche docenti del Politecnico, hanno ritenuto la tecnica tridimensionale inutile a una migliore fruizione nell’osservazione del Telo. Sulla base delle indicazioni ricevute si sono prese decisioni di rinuncia in tal senso, rifiutando così nel contempo la manifestazione di spinte alla commercializzazione. Ecco dunque, per tornare al nostro tema, un modo di difendere la Sindone da forme di ostentazione.

Per i torinesi la Sindone c’è. E le tributano rispetto. Sia gli uomini di fede, che le si accostano con l’umiltà, la devozione e l’emozione che si provano di fronte a oggetti del proprio culto, ma anche i laici, che le si avvicinano con il riconoscimento che compete alle cose di valore, tributandole l’ossequio dovuto agli oggetti importanti per qualunque culto, depositi culturali fattuali, su cui si addensa l’energia accumulata durante la propria storia.

Così dovrebbe in realtà essere sempre. Così c’è bisogno che sia, oggi più che mai, in tempi in cui il rispetto scambievole fra fedi, culti e culture sembra divenire sempre più difficile, nonostante la facilitazione delle comunicazioni e delle informazioni.

Il Lenzuolo che riceverà la visita di un ingente numero di pellegrini rimane il deposito di un mistero, oggetto esso stesso di misteriosi episodi, sottrazioni, spostamenti, viaggi da oltremare, incendi ripetuti, strane coincidenze, fatti inspiegabili. Un misterioso deposito di misteri, proprio come la misteriosa città che la custodisce.

Pellegrini a piedi, a cavallo e… last-minute

 

Si dice che questa volta la folla sarà esorbitante.

Furono circa 25mila al giorno i pellegrini che si avvicinarono al Lenzuolo sacro nel 1898, dal 2 maggio al 2 giugno. Fu in quella occasione che fu permesso a Secondo Pia di fotografare il telo di 4,36 metri x 1,10. Si ottenne un risultato strabiliante. In camera oscura, infatti, egli vide comparire sulle lastre fotografiche il volto di Gesù.

Nel 1931, dal 3 maggio, la tela fu mostrata per 20 giorni ai pellegrini, ai quali si unirono importanti personaggi appartenenti alla nobiltà, agli ordini militari, cavallereschi e religiosi, che erano confluiti in città per celebrare il matrimonio di Umberto II di Savoia con Maria Josè.

Dal 24 settembre al 10 ottobre durò l’ostensione del 1933, voluta da Pio XI, per celebrare l’Anno Santo Straordinario. Già allora giunsero molti pellegrini stranieri.

Ne 1969 si trattò di una ostensione riservata a studiosi e scienziati, che ebbero il compito di valutare lo stato in cui si trovava il telo, fotografare la Sindone con metodi diversi, a luce infrarossa e ultravioletta, in bianco e nero e a colori.

Il 1973 fu l’anno dell’Ostensione, per così dire, televisiva: la prima ostensione attraverso il mezzo televisivo della storia. Il telo il 25 novembre fu posto verticalmente per agevolare le riprese e il lavoro dei camera-men. In quell’occasione Papa Paolo VI parlò di “misteriosa reliquia oggetto di continui studi”. Fu allora che venne prelevato un campione del Lino sacro per consentire lo studio sulla natura delle sue fibre e delle piccole particelle imprigionate fra le sue trame. Fu così che vennero individuati più di 50 pollini.

Nel 1978 l’Ostensione si aprì nel giorno successivo all’elezione di Papa Giovanni Paolo I (Papa Luciani). L’esposizione durò 40 giorni. Quarantaquattro scienziati si avvicendarono attorno al lenzuolo per attuare studi numerosi e ricerche varie. Un solo test venne in quell’occasione proibito dalla Chiesa, che ne temeva gli effetti distruttivi sulle tracce ematiche: la prova del Carbonio 14. Ma era anche l’unica prova che avrebbe potuto determinare la datazione dell’oggetto.

Il 1998 segnò l’ingresso della Sindone nella Rete; la Messa venne celebrata via web da Giovanni Paolo II, raggiungendo il mondo. L’Ostensione durò 56 giorni.

L’esposizione più lunga fu quella del 2000, che si prolungò per 72 giorni. In quella occasione il Papa volle che i protagonisti dell’evento fossero i giovani, i ragazzi, provenienti da tutto il mondo, molti dei quali proseguirono poi il loro viaggio verso Roma, per la Giornata Mondiale della Gioventù.

Ora, nell’attuale occasione, i pellegrini potranno osservare dal 10 aprile al 23 maggio la Sindone dopo il completo restauro ricevuto nel 2002. Sono infatti rimosse le toppe applicate dalle Clarisse di Chambery nel 1534.

Si avvicineranno per pochi minuti e ognuno di loro vedrà nei segni impressi dalla sofferenza di un uomo il motivo per rinsaldare la propria fede o per interrogarsi sulla funzione dell’umanità su questo pianeta (torturare? mandare a morte?). Questo Telo non manca di suscitare ancora e sempre degli interrogativi sia in coloro che danno credito alla tradizione, che pensa il lenzuolo come il panno che accolse Gesù, sia in coloro che vedono in esso un panno che accolse un uomo, sottoposto a sofferenza e morte, procurate da altri uomini come lui. Quel Telo non mancherà in ogni caso di suscitare riflessioni profonde.

“Davanti alla Sindone, come non pensare ai milioni di uomini che muoiono di fame, agli orrori perpetrati nelle tante guerre che insanguinano le Nazioni, allo sfruttamento brutale di donne e bambini, ai milioni di esseri umani che vivono di stenti e di umiliazioni ai margini delle metropoli, specialmente nei Paesi in via di sviluppo? Come non ricordare con smarrimento e pietà quanti non possono godere degli elementari diritti civili, le vittime della tortura e del terrorismo, gli schiavi di organizzazioni criminali?” Così si chiedeva Giovanni Paolo II di fronte alla Sindone, in un discorso pronunciato il 24 maggio 1998.

E oggi, che si chiederanno i pellegrini?

Dubbi, curiosità, controversie

 

Le tracce di sangue e di pollini non hanno provocato litigi, ma le diatribe sulla prova del Carbonio 14 hanno diviso non solo credenti, storici e scienziati, ma anche scienziati e scienziati. La prova venne eseguita in tre diversi laboratori (Tucson, Oxford e Zurigo) nel 1988. Il verdetto finale bocciò definitivamente la datazione della Sindone, trasferendola d’ufficio dall’epoca in cui (approssimativamente) visse Gesù a uno scorcio d’anni assai più vicini a noi (1260-1390). Ora si litiga perché vi è chi non dà credito a questi risultati, che sarebbero stati inquinati dalle tracce degli incendi subiti dal telo, dalla presenza di funghi e batteri, oppure da una contaminazione di monossido di carbonio.

Ma le notizie curiose degli scettici si susseguono da sempre con buon ritmo.

Il 1 luglio 2009 è comparsa una notizia curiosa sul Corriere della Sera. Si leggeva la tesi di una esperta, Lillian Schwartz, specialista in grafica della School of Visual Arts di New York, la quale affermava che il volto impresso sul telo sindonico non sarebbe quello di Gesù, bensì quello di Leonardo da Vinci. La stessa Schwartz aveva già espresso in precedenza la supposizione che Leonardo avesse usato se stesso come modello per dipingere la Monna Lisa. Schwartz dichiarava: «Abbiamo utilizzato delle scansioni computerizzate e delle sostanze chimiche ad alta sensibilità alla luce, bombardandole con dei raggi solari. Il volto corrisponde con quello di Leonardo Da Vinci». Il maestro avrebbe direttamente lavorato sulla tela con una tecnica d’impressione fotografica ante-litteram. Secondo la Schwartz, avrebbe operato in una camera buia, avrebbe appeso il lenzuolo di lino, cospargendolo di un’emulsione fotosensibile (forse chiara d’uovo mescolata con una sostanza gelatinosa).

Una notizia dell’Ansa dello stesso giorno aggiungeva che Leonardo avrebbe praticato un foro nel quale avrebbe posto una lente di cristallo; infine, davanti alla lente, avrebbe sistemato un busto raffigurante il suo volto. Dopo giorni di esposizione l’immagine della statua si sarebbe quindi impressa, capovolta, sul lenzuolo appeso all’interno della camera oscura.

Per amor del vero ricordo che nel 2005 la rivista francese Science & vie pubblicò un articolo nel quale si raccontavano alcuni esperimenti eseguiti di fronte allo staff editoriale, attorno a un lino, dal quale si voleva ottenere un risultato simile a quello della Sindone. Ho citato quest’episodio, fra altri, nel mio libro del 2006, “Torino, esoterismo e mistero”, che faceva parte di una collana di libri pubblicata da Editoriale Olimpia, casa editrice fiorentina, sulle città italiane con spiccati tratti esoterici. Anche nell’occasione della sperimentazione riferita dalla rivista di trafficò con ossidi di ferro e con gelatina ricca di collagene, collante molto usato dai pittori del passato. Adoperarono un bassorilievo del Cristo straziato dalla Passione e procedettero secondo una tecnica che gli esperti ritenevano essere nota ai falsari del sacro e ai fabbricanti di reliquie fin dal Medioevo. Il risultato ottenuto fu sorprendentemente simile a quello dell’immagine che si può osservare sul Lenzuolo sacro. Non paghi gli sperimentatori sottoposero il lino a potenti e numerosi lavaggi, portarono la temperatura a 250 gradi, immersero il telo in acido citrito e acido acetico…macchè, il risultato restava perfetto.

Il 16 dicembre 2009 “La Stampa” riprendeva una notizia pubblicata sul Daily Mail che esprimeva nuovi dubbi sulla Sindone. Si diceva che un sudario dell’epoca di Cristo era stato rinvenuto nella Città Vecchia di Gerusalemme e esso possedeva caratteristiche molto diverse rispetto a quelle della Sindone conservata a Torino. Il lenzuolo funerario conteneva tracce genetiche che avevano consentito di identificare il più antico caso di lebbra conosciuto. Quanto detto era il risultato di ricerche durate dieci anni durante i quali un gruppo internazionale composto da biologi, genetisti, antropologi e archeologi dell’Università Ebraica di Gerusalemme, dell’University College di Londra, dell’Università canadese di Lakehead e quelle statunitensi di New Haven e North Carolina avevano collaborato allo stesso studio. Il sudario era stato scoperto presso l’area di Akeldamà, che corrisponderebbe, secondo alcuni, al Campo acquistato da Giuda con i 30 denari.

Alkemadà si trova nei pressi del villaggio di Silvan, a sud della città vecchia di Gerusalemme; in realtà vi fu scoperta una tomba con una sindone alcuni anni prima rispetto alla ripresa della notizia: era il 1999 quando fu scavato nella zona di Akeldamà e fu ritrovata una tomba con reperti interessanti. Era già stata saccheggiata dai ladri di reliquie, tuttavia conteneva ancora reperti notevoli per gli studiosi: ossi, capelli, e parti di sudari funebri. Secondo i successivi risultati scientifici della datazione al radiocarbonio la tomba dove è stato rinvenuto il sudario di Akelmadà risale a un periodo compreso fra l’1 e il 50 dopo Cristo. L’analisi del DNA delle ossa permise tra l’altro di stabilire che l’uomo che era stato sepolto era affetto da lebbra e da tubercolosi. Il panno che lo avvolgeva (in parte ancora attaccato al cranio), e che fungeva da sudario per il viso, era di lana. Ma le stoffe attorno al cadavere, tutte di lana, erano molteplici, tessute con filato torcito, in una trama molto semplice. Caratteristiche tutte molto diverse da quelle della Sindone esposta, in tessuto prezioso di lino, che presenta una complessa trama a spina di pesce e una torcitura tipica dei paesi europei.

 

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