SCIE CHIMICHE. COSA STA SUCCEDENDO NEL NOSTRO CIELO

SCIE CHIMICHE.  COSA STA SUCCEDENDO NEL NOSTRO CIELO

(Il servizio è pubblicato su InOgniDove, n. 6)

Scia ascia di guerra

Ipotesi sciagurate

Nani da giardino

 

Scia ascia di guerra

Non lo sapete che i ragni si muovono copiosi nei cieli, secernendo le loro tele appese alle stelle? Che idea romantica: quasi quasi adesso ci credo anch’io.

Ce lo raccontano i cosiddetti scienziati, quando a piene mani si raccolgono, indifferentemente in campagna o in città, strani filamenti simili a fili appiccicosi di ragnatela, a terra o a mezz’aria, Ci raccontano che sono stati secreti da ragni, talvolta ne indicano persino la famiglia (quella dei Linyphiidae, conosciuti come ragni tessitori), mentre aggruppati in insiemi solcano i cieli per migrare. Spider ballooning è il nome del fenomeno. Le tele funzionerebbero per i ragni come specie di tappeti volanti: dopo aver sparato la sua tela il ragno ci si accomoda sopra e si fa trasportare comodamente nell’aria, come nella fiaba.

Mah! Sarà, ma pochi ci credono. Ormai siamo diventati tutti così sospettosi che temiamo di essere ancora una volta gabbati.

Siamo sicuri che i filamenti non rientrino tra le copiose manifestazioni delle scie chimiche?

Le scie vengono rilevate da alcuni anni e sono per così dire prodotte da aerei che solcano i cieli; non sono aerei di linea, ma aerei non meglio identificati; sono ben diverse dalle note linee di condensazione, perché queste sono formate da sostante gelatinose che vengono rilasciate a bassa quota, mentre le linee di condensazione si manifestano di solito a oltre ottomila metri di altezza. Inoltre gli aerei che rilasciano le scie chimiche sono dotati di apparati di irrorazione visibili con semplici cannocchiali: anche in Italia l’avvistamento è provato. Prima di depositarsi le scie permangono nei cieli per molte ore, poi si espandono pian piano, con un comportamento quindi molto diverso dalle strisce di condensazione. Gruppi diversi di osservatori hanno volontariamente analizzato i residui lasciati a terra dalle scie chimiche ed essi hanno constatato che contengono sostanze nocive alla salute: silicio, alluminio, bario, quarzo, ma anche parassiti, muffe, agenti batterici e virali. Altre forme di prova dei depositi delle scie chimiche provengono dall’analisi dell’acqua piovana, che contiene anch’essa le stesse sostanze velenose. Le scie chimiche vengono tra l’altro considerate come uno dei più importanti fattori di moria delle api.

Molte ipotesi si sono fatte attorno alle scie chimiche: alcune potrebbero persino sembrare surreali. Nessuna contempla, ahimè, scopi umanitari. Francamente credo valga la pena di non scartarne nessuna. Del resto non è da escludere che più di una motivazione al loro esistere possano sommarsi una all’altra: gli scopi militari potrebbero non escludere quelli strettamente economici, lasciando spazio a quelli politici e sociali. Certo le operazioni di cospicuo rilascio nei cieli devono avere costi economici molto pesanti: si suppone che qualunque gruppo, pubblico o privato, qualunque lobby, qualunque società o istituzione lo affronti, debba riceverne proporzionati guadagni.

Una delle ipotesi maggiormente accreditate riconosce nel deposito di scie chimiche un tentativo (che evidentemente riesce bene!) di incidere drasticamente sul clima.

Era il 1956 quando lo scienziato e matematico statunitense John Von Neumann dichiarava che in capo a una ventina d’anni sarebbe stato possibile scatenare un gelido inverno artico degno di un’era glaciale su qualunque nazione nemica con cui si fossero trovati in conflitto. Da allora la guerra per il controllo del mondo attraverso il potere meteorologico non si è mai assopita.

Si conosce l’esistenza di centinaia di brevetti, depositati in tempi diversi negli Stati Uniti, che palesano il loro scopo a partire dal titolo con il quale sono stati presentati. Qualche esempio in traduzione: “Metodi e apparati per alterare il clima di una regione della terra”, “Metodo per modificare il tempo atmosferico”, “Metodo per rilasciare neve artificiale” “Metodo per sconvolgere elettroni e protoni nell’atmosfera” “Metodo e apparecchiatura per creare vasti banchi di nebbia” “Sistema per creare la pioggia”, “Metodo per creare nubi cumuliformi”, “Procedura per la modificazione artificiale delle precipitazioni atmosferiche nonché composti a base di dimetilsolfossido per l’uso nella realizzazione di detto procedimento” “Composizioni di combustibili per la generazione degli aerosol, particolarmente adatto per la modifica del sistema delle nubi e il controllo del tempo”. Si potrebbe continuare per pagine e pagine. Si potrebbero anche affiancare ai nomi i numeri corrispondenti del brevetto, ma volendo ognuno di noi lo può fare da sé, per mezzo di una ricerca in Internet, magari digitando in inglese le parole “controllo climatico” o qualcosa di simile, oppure andando su “Google Patents” o “US Patents”: vi assicuro che la caccia non avrà risultati deludenti.

Nessuno di noi dubita sull’incidenza che le condizioni climatiche possono esercitare sull’esito di una guerra di tipo tradizionale: il ricordo della campagna di Russia che i nostri Alpini furono costretti ad affrontare nella II Guerra Mondiale è rimasto vivo nel ricordo di molte famiglie che vi perdettero i loro cari; ne aveva fatta esperienza Napoleone. Sappiamo che la data dello sbarco in Normandia fu preso sulla scorta delle previsioni meteorologiche degli esperti inglesi e americani. Sappiamo con certezza che durante la guerra del Vietnam (1967-1972) furono precipitate piogge torrenziali sul Vietnam del Nord per peggiorare i disagi del nemico, causando la distruzione di strade e raccolti. In quella guerra per anticipare e prolungare il periodo dei monsoni, al fine di ostacolare l’avanzata dei Viet Cong, furono eseguite 2500 missioni aeree di cloud-seeding, di inseminazione di nuvole. L’operazione in codice si denominava Popeye.

Ma non si tratta solo di questo.

Nel 1996, durante l’amministrazione Clinton, l’Air Force americana lanciò un programma per assicurare agli Stati Uniti il controllo del clima entro il 2025. S’intitolava “Il clima come forza moltiplicatrice: possedere il clima entro il 2025″, il progetto prevedeva l’uso e l’implicazione di nuove tecnologie per mettere gli USA in condizioni di primeggiare. Vi si legge: “Nel 2025 gli Usa e le forze aereo spaziali USA potranno avere il controllo del clima se sapranno capitalizzare le nuove tecnologie e svilupparle come applicazioni di guerra…” Vi si parla di scenari climatici creati su misura, della totale e completa dominazione globale delle comunicazioni e dello spazio, ottenuta grazie alla modificazione climatica adoperata per sconfiggere e sottomettere l’avversario. Il documento entra nel dettaglio della creazione e pilotamento di tempeste, di formazione di nubi e nebbia, di controllo completo delle precipitazioni e della siccità, create a piacimento, di fulmini scatenati ad hoc.

Ma c’è dell’altro.

Il 14 gennaio 1999, il Parlamento Europeo intervenne, dimostrandosi preoccupato per l’utilizzo delle risorse militari (in particolare del sistema HAARP) che arrecano danni irreparabili all’ambiente.

Ma che cos’è il sistema H.A.A.R.P.?

Ecco come viene descritto nel documento: “La commissione per la protezione dell’ambiente, la sanità pubblica e la tutela dei consumatori: considera il sistema militare USA di manipolazione ionosferica, H.A.A.R.P., con base in Alaska, un esempio della più grave minaccia militare emergente per l’ambiente globale e la salute umana, dato che esso cerca di manipolare a scopi militari la sezione dellabiosfera altamente sensibile ed energetica, mentre tutte le sue conseguenze non sono chiare”.

Nel documento viene poi spiegato come gli USA stiano operando in modo da creare armi integrali di tipo geofisico, in grado di agire sugli elementi e sui fenomeni naturali, normalmente considerati come espressioni della volontà della natura, per mezzo di onde ad alta frequenza.

Perché dunque qualcuno ritiene, o quantomeno afferma tenacemente di ritenere, fantasiosa l’idea che sostanze chimiche vengano irrorate da aerei nell’aria per scopi analoghi?

Non la riteneva tale un ex capo dell’FBI, Ted Gunderson, morto nel luglio 2011, il quale non lesinava attraverso interviste, che permangono in rete, di dirsi molto preoccupato per l’azione nefasta delle scie chimiche: ad esse, della cui esistenza affermava di essere stato a conoscenza diretta nella sua esperienza, attribuiva la moria di uccelli e di pesci. Affermava che il loro uso era un omicidio degli Stati Uniti nei confronti non solo del mondo naturale ma anche di quello umano. Rivelò dove era dislocati gli aerei che rilasciavano scie in mezzo mondo, e ne dette una precisa descrizione; si domandava disperato: «Che cosa c’è che non funziona nel nostro Congresso?»

Ipotesi SCIAgurate

C’è una tendenza nel mondo di oggi a considerare veritiero solo ciò che è supportato dal definitivo placet della scienza. La scienza fonda su dimostrazioni empiriche le proprie affermazioni o negazioni, si dice; ma la scienza, si sa, sta volentieri dalla parte di istituzioni governative che tacciano di ignoranza, inconsistenza e incoerenza ogni affermazione che posi su un tipo di sensibilità e di giudizio diversi da quelli tracciati dalla comunità scientifica stessa. Ci ci trova così di fronte a un serpente che si morde la coda: un serpente che sta volentieri da parte del potere.

Così, nell’ambito del discorso sulle scie chimiche, tutti coloro (semplici cittadini, politici, medici e naturalmente anche scienziati desiderosi di arrivare alla verità) che vedono, osservano, fotografano, compiono analisi, documentano, pongono domande, preparano relazioni, presentano interpellanze e attuano interventi sul tema, avanzando tutti i loro dubbi, vengono immediatamente tacciati dalla comunità scientifica come complottisti. Maniaci, insomma, che riescono a vedere persino nella pura aria dei nostri cieli i segni che qualcosa non funziona proprio come ci viene detto. Così gli zuzzerelloni che vedono uscire sostanze sospette da parti diverse (non già dal motore) dagli aerei che emettono scie hanno meritato fin da subito un posto privilegiato nel vasto mondo dei complottisti: le loro fantasie ipotizzano una serie di teorie, tutte ugualmente improbabili (sostiene la comunità scientifica) in cui si vorrebbe che gli interessi di alcuni andassero contro l’interesse di tutti: cose da pazzi, no?

Riferiamo qualcuna di queste teorie.

Abbiamo già trattato la più diffusa, quella del tentativo di operare modificazioni climatiche, soprattutto a scopi bellici, all’interno delle quali si può intravedere la felice opportunità di accecare l’eventuale nemico e dei suoi radar. Anche la mappatura elettronica del territorio si pone tra questi obiettivi, come la creazione di un’antenna elettromagnetica oltre l’orizzonte, col fine di facilitare nell’atmosfera la trasmissione e la ricezione dei segnali militari strategici.

Ma si intravedono più vaste motivazioni, per così dire sociali: l’opportunità di inquinare drasticamente gli ecosistemi. Ciò determinerebbe un incremento esponenziale del costo delle risorse dell’acqua e di quelle agricole. A tal proposito si suppone altresì che vi si giochino grandi interessi di multinazionali, che avrebbero come scopo quello di danneggiare drasticamente le culture agricole basate su piante naturali, non modificate geneticamente, e dunque seminabili in modo naturale. La moria di piante naturali, o la loro eccessiva sensibilità a nuove malattie, rapidamente diffuse, favorirebbe la richiesta e la vendita di piante geneticamente modificate, di cui le multinazionali detengono i brevetti.

Ma vi sarebbero scopi sociali persino a più ampio raggio: l’eliminazione veloce, attraverso lo spargimento dei veleni, di categorie sociali considerate inutili pesi per la società: soprattutto gli anziani, colpevoli – è un’opinione sempre più diffusa soprattutto nella nostra Italia sempre più povera – di percepire pensioni. La loro fragilità verrebbe dunque in tal senso guardata con occhio più che interessato.

Ma tutte la fasce e le categorie più deboli verrebbero guardate benevolmente in questo progetto: obiettivi idonei per la diffusione diretta ed indiretta di malattie, causate ad hocda agenti patogeni, con gli scopi di favorire paura e dolore. Sono queste emozioni negative che ci spingono ad affidare i nostri corpi e i destini della nostra salute nelle mani dei medici e, indirettamente, nelle mani delle multinazionali farmaceutiche.

Quanto al resto della popolazione, tra gli obiettivi vi sarebbe quello di controllare il pensiero e il comportamento, attraverso l’irradiazione di onde elettromagnetiche a bassa o bassissima frequenza oppure attraverso l’inconsapevole assunzione del litio e dei suoi composti (presenti nelle scie).

Quanto al controllo del pensiero, le scie servirebbero ad applicare le nanotecnologie al corpo umano, col fine di monitorare prima, e poi controllare, e manipolare mentalmente, per mezzo dell’emissione di impulsi elettromagnetici, interi gruppi umani. Qualcuno pensa che le nanomacchine potrebbero poi essere attivate quando le persone saranno convinte (o obbligate, che è la stessa cosa, se il risultato non cambia) a portare microchips sottocutanei; altri pensano che le nanotecnologie possano comunque servire da microchips.

Qualcuno infine pensa che lo scopo delle sostanze rilasciate sia quello di creare un ambiente idoneo alla proiezione di immagini olografiche, forse in occasione di invasione aliena, falsa o veritiera.
Tutte idee fantascientifiche?

Nani da giardino

Nel best seller di Michael Crichton, intitolato Preda, un esperimento scientifico che di sta svolgendo nel Nevada sfugge al controllo dei tecnologi: sciami di nanoparticelle, microscopici robot in forma di videocamere, vale a dire nanomacchine intelligenti, con qualità simili a quelle degli esseri viventi, capaci di autoriprodursi e di evolversi, fuggono dal laboratorio. Un grosso guaio, dal momento che le nanoparticelle sono state programmate per essere dei predatori e sono pericolosissime. Nel romanzo segue un mare di avventure per riprendere il controllo, sebbene ogni tentativo sembri destinato a fallire. L’Autore è riuscito ad anticipare (il libro è del 2002) alcuni temi che oggi sembrano destare preoccupazione nell’opinione pubblica. Nel frattempo le nanoscienze e nanotecnologie hanno fatto grandi passi, sono definitivamente entrate a far parte della realtà consolidata ed esse vengono attualmente impiegate in svariati campi.

Ma che cosa sono le nanoscienze e le nanotecnologie?

Sono studi e manipolazioni della materia considerata su scala piccolissima, nanometrica, appunto. Un nanometro corrisponde a un miliardesimo di metro, o un milionesimo di millimetro, se serve meglio a crearci un’idea; ed equivale (grosso modo, tanto per usare qui un’espressione quanto mai impropria) alla lunghezza di una molecola. Dunque le nanoscienze studiano la materia su scala atomica e molecolare; servono a creare, attraverso la nanotecnologia, materiali, sistemi e dispositivi su scala nanometrica. Molti prodotti alla cui produzione si è giunti grazie agli studi nanometrici sono attualmente già sul mercato, riguardano settori disparati, ma la ricerca continua e ottiene risultati esponenziali.

Il dubbio nasce quando si considera che in verità non si sa quasi nulla delle conseguenze che il dilagare dei nanomateriali può eventualmente causare. Infatti non si tratta solo di “lavorare” a livello molto più piccolo, ma occorre considerare che il comportamento della materia a un livello tanto più piccolo cambia completamente, assumendo caratteristiche e comportamenti imprevedibili; non si conoscono neppure i rischi cui si potrebbe andare incontro in corso di ricerca e di sperimentazione. In parole povere nei laboratori si potrebbero, ad esempio, creare delle nanoparticelle inaspettate, ottenute in modo collaterale a quelle volontariamente ricercate e conseguite. Alcuni pericoli potrebbero derivare dalla animata reattività delle nanoparticelle ottenute artificialmente. Teste calde, disubbidienti e scarsamente biodegradabili: così si potrebbero definire.

È indubitabile che abbiano apportato importanti miglioramenti in vasti settori, come quelli medici, informatici, energetici e… non ultimo, quello militare. Gli ottimisti spingono la ricerca perché pensano che le nanomacchine siano, e possano divenire sempre più, strumenti indispensabili per debellare malattie e gravi problemi dell’umanità, compresi la siccità, le carestie, gli avvelenamenti da inquinamento, ma non si può nemmeno negare che alcune caratteristiche le mettano fra le tecnologie pericolose, sia perché l’uomo, essere tutt’altro che perfetto, può essere ancora una volta tentato di farne un uso improprio, in poche parole volto al male anziché al bene, oppure perché non è così fantascientifico pensare che esse possano sfuggire al controllo dell’uomo, alla sua imperfezione, al margine d’errore, che nel caso dei robot di un milardesimo di millimetro potrebbero scatenare disastri difficilmente immaginabili per l’umanità.

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